Teatro Antico Taormina : Pagliacci


Opera di:
Ruggero Leoncavallo

Pagliacci

Dopo un’introduzione strumentale, la rappresentazione inizia a sipario calato, con un baritono, in genere quello che interpreta Tonio, solitamente nel costume che vestirà più avanti come Taddeo, che si presenta al proscenio come “Prologo” (Si può?, si può?), fungendo da portavoce dell’autore ed enunciando i principi informatori e la poetica dell’opera.

La piccola compagnia teatrale itinerante composta dal capocomico Canio, dalla moglie Nedda e dai due commedianti Tonio e Beppe giunge in un paesino del sud Italia per inscenare una commedia. Canio non sospetta che la moglie, molto più giovane, lo tradisca con Silvio, un contadino del luogo, ma Tonio, fisicamente deforme, che ama Nedda e ne è respinto, lo avvisa del tradimento. Canio scopre i due amanti che si promettono amore, ma Silvio fugge senza essere visto in volto. L’uomo vorrebbe scagliarsi contro la moglie, ma arriva Beppe a sollecitare l’inizio della commedia perché il pubblico aspetta. Canio non può fare altro, nonostante il turbamento, che truccarsi e prepararsi per lo spettacolo (Vesti la giubba).

Dopo un intermezzo sinfonico, Canio/Pagliaccio deve impersonare nella farsa un marito tradito, ma la realtà prende il sopravvento sulla finzione (No, Pagliaccio non son) ed egli riprende il discorso interrotto poco prima, rinfacciando a Nedda/Colombina la sua ingratitudine e dicendole che il suo amore è ormai mutato in odio per la gelosia. La donna, intimorita, cerca di mantenere un tono da commedia, ma poi, minacciata, reagisce con asprezza. Beppe vorrebbe intervenire, ma Tonio, eccitato dalla situazione, di cui è responsabile con la sua delazione, glielo impedisce, mentre gli spettatori, dapprima attratti dalla trasformazione della farsa in dramma, comprendono troppo tardi che ciò che stanno vedendo non è più finzione. Di fronte al rifiuto di Nedda di dire il nome del suo amante, Canio accoltella a morte lei e poi Silvio, presente tra il pubblico e accorso sul palco per soccorrerla.

A tragedia compiuta, secondo la partitura originale, Tonio/Taddeo esclama beffardo e compiaciuto, rivolgendosi al pubblico: “La commedia è finita!”. Tale battuta passò precocemente a Canio, divenendo la prassi esecutiva abituale.

 

Regia & Scenografia: ENRICO CASTIGLIONE  
Costumista: SONIA CAMMARATA   
Direttore: LUIZ FERNANDO MALHEIRO
ORCHESTRA SINFONICA DEL FESTIVAL EURO MEDITERRANEO 
diretto da: FRANCESCO COSTA
CORO LIRICO SICILIANO

NEDDA (COLOMBINA)CHIARA TAIGI
CANIO (PAGLIACCIO)PIERO GIULIACCI
TONIO (TADDEO)GIOVANNI DI MARE
PEPPE (ARLECCHINO)GIUSEPPE DISTEFANO
SILVIOVINCENZO TAORMINA

 

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Lucio Mazzi

si occupa di popular music, come studioso e appassionato, dalla fine degli anni ’70. Giornalista professionista, ha pubblicato migliaia di articoli, una trentina di libri (come autore, coautore o curatore) ha insegnato Storia della Musica Applicata presso il Conservatorio G. Frescobaldi di Ferrara.

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Teatro Antico Taormina : Tosca


Opera di:
Giacomo Puccini

TOSCA

La trama si svolge a Roma nell’atmosfera tesa che segue l’eco degli avvenimenti rivoluzionari in Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: sabato 14 giugno 1800, giorno della Battaglia di Marengo.

Atto I
Angelotti (basso), bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant’Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore). Quando irrompe nella chiesa un sagrestano (basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando (…e sempre lava…), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto (Recondita armonia). Il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l’arrivo di Floria Tosca (soprano), l’amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera (Non la sospiri la nostra casetta…). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica (Qual occhio al mondo…), riesce a calmarla e a congedarla.

Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant’Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.

La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l’indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia (baritono), capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch’egli bonapartista.

Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l’amante che il programma era sfumato in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l’avvenimento militare (Ed io venivo a lui tutta dogliosa…). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Scarpia, che ha raggiunto il suo scopo, la fa seguire (Tre sbirri, una carrozza, presto…). Mentre Scarpia pregusta la sua doppia rivalsa su Cavaradossi – ucciderlo e prendergli la donna – comincia ad affluire gente in Chiesa per inneggiare alla vittoria e a cantare il Te Deum.

 

Atto II
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli, per celebrare la vittoriosa battaglia; nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri sbirri conducono in sua presenza Mario che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.

Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell’uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell’evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo. A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla vittoria, e Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di concedere la grazia a Mario. Ma il barone acconsente solo a patto che Tosca gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d’arte, vissi d’amore). Ma tutto è inutile: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d’intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo accoltella con un coltello trovato sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere e, prima di uscire, pone religiosamente due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente esce.

 

Atto III
È l’alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant’Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un’ultima lettera d’amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia. Gli mostra il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Ma Mario viene fucilato veramente e Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida “O Scarpia, avanti a Dio!” e si getta dagli spalti del castello.

 

Regia & Scene: ENRICO CASTIGLIONE
Direttore d’orchestra: CEM MANSUR
Costumi: SONIA CAMMARATA

Tosca: ELENA ROSSI
Cavaradossi: GIANCARLO MONSALVE
Scarpia: FRANCESCO LANDOLFI
Sagrestano: GIOVANNI DI MARE
Spoletta: GIUSEPPE DI STEFANO
Angelotti/Sciarrone: GIANLUCA LENTINI
Carceriere: ALBERTO M. MUNAFÒ
Pastorello: ANTONELLA LEOTTA
CORO VOCI BIANCHE PROGETTO SUONO istruito da: RITA PADOVANO
CORO LIRICO SICILIANO
ORCHESTRA NAZIONALE TURCHIA

 

libretto

Teatro Antico Taormina : Rigoletto


Opera di:
Ruggero Leoncavallo

Rigoletto

La scena è ambientata a Mantova e dintorni nel XVI secolo.

Atto I

Al Palazzo Ducale, durante una festa, il Duca, che ha l’abitudine di confondersi tra il popolo in incognito, confida al fido Borsa di voler portare a compimento la conquista di una fanciulla (Gilda) che vede sempre all’uscita della chiesa. Borsa gli fa notare le beltà delle dame presenti, e il Duca, dopo aver dichiarato il suo spirito libertino (Questa o quella per me pari sono), corteggia la Contessa di Ceprano provocando la rabbia del marito, che viene schernito dal buffone di corte Rigoletto. Intanto, in disparte, Marullo racconta agli altri cortigiani che Rigoletto, sebbene gobbo e deforme, avrebbe un’amante; la notizia è lo spunto per i cortigiani e per il conte di Ceprano per vendicarsi dell’ironia offensiva del buffone con il rapimento della donna. In realtà la giovane che Rigoletto tiene ben nascosta in casa non è altri che la figlia Gilda.

Improvvisamente irrompe il Conte di Monterone, vecchio nemico del Duca, che lo accusa pubblicamente di avergli sedotto la figlia. Rigoletto lo irride e Monterone maledice lui e il Duca, che ordina di arrestarlo, mentre Rigoletto, spaventato dalle sue parole, fugge.
Profondamente turbato dalla maledizione di Monterone (Quel vecchio maledivami), mentre è sulla strada di casa il buffone viene avvicinato da Sparafucile, un sicario prezzolato, che gli offre i suoi servigi. Rigoletto lo allontana, paragonandosi poi in qualche modo a lui (Pari siamo), meditando sulla sua vita infelice e cercando di distogliere la mente dal pensiero ricorrente della maledizione.

Giunto a casa, riabbraccia Gilda, all’oscuro del lavoro di buffone di corte del padre, e raccomanda alla domestica Giovanna di vegliare su di lei, ossessionato dalla paura che la fanciulla possa essere insidiata (Veglia, o donna, questo fiore). Il Duca si è però già introdotto nella casa e osserva di nascosto la scena. Andatosene Rigoletto, egli avvicina la giovane e si dichiara innamorato (È il sol dell’anima) spacciandosi per uno studente povero, Gualtier Maldè, ma è costretto a desistere dalla sua opera di seduzione data la presenza di qualcuno nei pressi della casa. Gilda, rimasta sola, esprime il suo amore per il giovane (Gualtier Maldé… Caro nome…).

Nei dintorni si aggirano in effetti i cortigiani, con l’intenzione di attuare il rapimento di quella che è creduta l’amante del buffone. Essi coinvolgono lo stesso Rigoletto, che, colto da un presentimento, è tornato sui suoi passi e al quale fanno credere con un inganno che stiano tramando il rapimento della contessa di Ceprano. Sollevato dai propri timori, Rigoletto accetta di unirsi all’impresa. Con la scusa di fargli indossare come tutti una maschera, la vista, già scarsa per il buio notturno, e l’udito gli vengono impediti con una benda, mentre i cortigiani rapiscono Gilda (Zitti zitti, moviamo a vendetta). Solo quando tutti sono partiti, egli capisce la verità e ripensa alla maledizione ricevuta (Ah, la maledizione).

 

Atto II
Rientrato a palazzo, il Duca, che era tornato a cercare Gilda poco dopo il loro incontro, si dispera per il rapimento della giovane, avvenuto nel breve tempo della sua assenza (Ella mi fu rapita). Quando però i cortigiani lo informano di aver rapito l’amante di Rigoletto, e appreso che questa si trova nel Palazzo, capisce che la sorte lo ha in realtà favorito.

Entra Rigoletto che, fingendo indifferenza (La rà, la rà), cerca la figlia, deriso dal crocchio di cortigiani. Quando capisce che Gilda si trova nella camera del Duca, sfoga la sua ira imprecando contro i nobili, che apprendono con sorpresa che la giovane rapita è in realtà sua figlia, ma gli impediscono di raggiungerla (Cortigiani, vil razza dannata). Esce Gilda, che rivela al padre di essere stata disonorata e, dopo che sono rimasti soli, gli racconta come ha conosciuto il giovane di cui ignorava la vera identità (Tutte le feste al tempio), mentre Rigoletto cerca di consolarla (Piangi, fanciulla).
Passa frattanto Monterone, che sta per essere condotto in carcere. Il vecchio nobile si ferma e osserva il Duca ritratto in un quadro, constatando amaramente che la sua maledizione è stata vana. Udite le sue parole, Rigoletto replica che la vendetta arriverà invece per opera sua (No vecchio t’inganni…sì, vendetta): egli ha già deciso di rivolgersi al sicario Sparafucile per chiedergli di uccidere il Duca.

 

Atto III
Rigoletto ha deciso di far toccare con mano alla figlia chi sia veramente l’uomo che ella, nonostante tutto, continua ad amare. La conduce perciò alla locanda di Sparafucile sulle rive del fiume Mincio, dove si trova il Duca in incognito, adescato dalla sorella del sicario Maddalena. Gilda ha così modo di vedere di nascosto l’amato dichiarare la propria irrisione verso le donne e gli uomini che se ne innamorano (La donna è mobile) e poi corteggiare Maddalena, come già aveva fatto con lei (Bella figlia dell’amore).

Rigoletto dà ordine alla figlia di tornare a casa e partire immediatamente alla volta di Verona, travestita da uomo per la sua incolumità; dopo aver preso accordi con Sparafucile, si allontana anch’egli dalla locanda. Mentre si avvicina un temporale, Gilda, già in abiti maschili, in preda ancora a un’attrazione irrefrenabile, torna presso la locanda e ascolta il drammatico dialogo che vi si svolge: Maddalena, invaghitasi anch’essa del Duca, supplica il fratello affinché lo risparmi e uccida al suo posto Rigoletto non appena giungerà con il denaro. Sparafucile, vantando una sorta di “rigore” professionale, non ne vuole sapere, ma alla fine accetta un compromesso: aspetterà fino a mezzanotte e, se arriverà, ucciderà il primo uomo che entrerà nell’osteria (Se pria che abbia il mezzo la notte toccato). Gilda decide immediatamente di sacrificarsi per il Duca: fingendosi un mendicante, bussa alla porta della locanda e viene pugnalata a sangue freddo dal sicario.
A mezzanotte, come convenuto, Rigoletto ritorna alla locanda e Sparafucile gli consegna il corpo in un sacco. Il buffone, illudendosi con grande soddisfazione di aver portato a compimento la sua vendetta, si appresta a gettarlo nel fiume quando, in lontananza, ode la voce del Duca (ripresa de La donna è mobile). Raggelato, si chiede di chi sia allora il corpo nel sacco, e quando lo apre scopre con orrore Gilda in fin di vita, che in un ultimo anelito gli chiede perdono e muore tra le sue braccia (V’ho ingannato….Lassù in cielo). Rigoletto, disperato, si rende conto che la maledizione di Monterone si è avverata (Ah, la maledizione!).


Regia & Scene:
 ENRICO CASTIGLIONE
Direttore: GIANLUCA MARTINENGHI
Costumi: SONIA CAMMARATA
ORCHESTRA SINFONICA BELLINI DI PALERMO diretta da: FRANCESCO COSTA
CORO LIRICO SICILIANO

affissione

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Editions Ermitage : L. Ferdinando Tagliavini CD

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www.genusbononiae.it

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www.fondazionecarisbo.it

 

Presentazione

Questa documentazione sonora di numerosi antichi strumenti della collezione di Luigi Ferdinando Tagliavini appartenenti alla famiglia del clavicembalo è apparsa nel 1996 assieme al numero della rivista “Gli eventi di Symphonia”, I – L. F. Tagliavini e la sua straordinaria collezione di strumenti a tasto, un decennio prima che la collezione fosse donata alla Fondazione CARISBO e ubicata nel prezioso complesso architettonico di San Colombano.
Esso costituisce quindi una testimonianza ormai storica, oltre che musicale, presentando strumenti che allora erano stati recentemente riportati al loro primitivo splendore e a piena efficienza, condizioni in cui essi sono tuttora conservati. Benché la collezione sia in costante processo di arricchimento e benché continui la sua registrazione sonora e visiva, allargandosi a molti altri strumenti di varie famiglie, ci è sembrato opportuno riprendere questo CD, che costituisce un’importante “fotografia sonora”.

Fabio Roversi-Monaco
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

GIROLAMO FRESCOBALDI (1583-1643)
ANTONIO VALENTE (Naples, XVIth century)
ANONYMOUS (XVIth century)
MARCO FACOLI (Venice, XVIth century)
GIOVANNI PICCHI (Venice, XVIth-XVIIth century)
ANONYMOUS (XVIIth century)
GIOVANNI SALVATORE (c. 1605 – Naples c. 1688)
BERNARDO PASQUINI (1637-1710)
DOMENICO SCARLATTI (1685-1757)
GIOVANNI RUTINI (1723-1797)
LUIGI PALMERINI (1768-1842)

 

CD del Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini.
Ph. marco mioli